L'OSCAR PIU' IMPORTANTE (E DI CUI NESSUNO PARLA)
Ok, ormai è passato qualche giorno dalla notte degli Oscar, ci siamo ripresi dalla (non) vittoria di La La Land come miglior film e dall'incredibile sfottò che l'internet ha, giustamente, riversato sull'accademy.
È il momento, quindi, di concentrarsi sul problema che da anni ormai affligge la notte degli oscar: c'è un premio che ad ogni edizione viene ingiustamente etichettato come minore, un premio a cui lo spazio che viene concesso è così irrisorio che tutti i presenti in sala dovrebbero uscire sdegnati dalla sala rovesciando le sedie e tirando le statuetta addosso a Jimmy Kimmel; il premio di cui stiamo parlando è, ovviamente, quello per il miglior cortometraggio d'animazione.
Quest'anno, nella categoria che dovrebbe essere quindi universalmente riconosciuta come la più importante di tutta la serata (anzi, si potrebbe premiare direttamente solo questa, poi tutti a casa e grazie per essere venuti) ha vinto Piper, il corto creato in casa Pixar e che veniva proiettato prima di Alla Ricerca di Dory.
Alan Barillaro, il regista, riesce a condensare in poco più di sei minuti l'intero spirito della Pixar. Dentro piper ci sono vent'anni di storia dell'animazione. In un piccolo piovanello ritroviamo quello che forse è il tema fondante, il filo rosso, di tutti i film della Pixar, quello della crescita.
Piper ci ricorda di quanto sembrino (e siano) duri i problemi per i piccoli, ce lo mostra con un piccolo capolavoro animato che parla di un uccellino e che eppure si rivela molto più umano di tanti altri lungometraggi. Piper sfida la paura, e la vince, e lo fa con una dolcezza e una leggerezza che non può non emozionare lo spettatore, grande o piccolo che sia.
Il lato tecnico, come sempre per la Pixar, è semplicemente strabiliante, le animazioni dell'acqua e dei piovanelli rasentano la perfezione. Piper vive, si muove e agisce come se fosse li, ripreso da una telecamera e non ricreato completamente in digitale.
Piper, insomma, è un gioiello. Emoziona, fa riflettere; incanta lo spettatore, e lo sveglia, sei minuti dopo, arricchito, leggero, felice, come uno di quei sogni belli, da cui forse alla fine non avresti voluto svegliarti.
È il momento, quindi, di concentrarsi sul problema che da anni ormai affligge la notte degli oscar: c'è un premio che ad ogni edizione viene ingiustamente etichettato come minore, un premio a cui lo spazio che viene concesso è così irrisorio che tutti i presenti in sala dovrebbero uscire sdegnati dalla sala rovesciando le sedie e tirando le statuetta addosso a Jimmy Kimmel; il premio di cui stiamo parlando è, ovviamente, quello per il miglior cortometraggio d'animazione.
Quest'anno, nella categoria che dovrebbe essere quindi universalmente riconosciuta come la più importante di tutta la serata (anzi, si potrebbe premiare direttamente solo questa, poi tutti a casa e grazie per essere venuti) ha vinto Piper, il corto creato in casa Pixar e che veniva proiettato prima di Alla Ricerca di Dory.
Alan Barillaro, il regista, riesce a condensare in poco più di sei minuti l'intero spirito della Pixar. Dentro piper ci sono vent'anni di storia dell'animazione. In un piccolo piovanello ritroviamo quello che forse è il tema fondante, il filo rosso, di tutti i film della Pixar, quello della crescita.
Piper ci ricorda di quanto sembrino (e siano) duri i problemi per i piccoli, ce lo mostra con un piccolo capolavoro animato che parla di un uccellino e che eppure si rivela molto più umano di tanti altri lungometraggi. Piper sfida la paura, e la vince, e lo fa con una dolcezza e una leggerezza che non può non emozionare lo spettatore, grande o piccolo che sia.
Il lato tecnico, come sempre per la Pixar, è semplicemente strabiliante, le animazioni dell'acqua e dei piovanelli rasentano la perfezione. Piper vive, si muove e agisce come se fosse li, ripreso da una telecamera e non ricreato completamente in digitale.
Piper, insomma, è un gioiello. Emoziona, fa riflettere; incanta lo spettatore, e lo sveglia, sei minuti dopo, arricchito, leggero, felice, come uno di quei sogni belli, da cui forse alla fine non avresti voluto svegliarti.

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